C’è spesso confusione tra i termini “compostabile” e “biodegradabile” e si è portati a pensare che le due cose si equivalgano. Vediamo insieme cosa significano questi 2 termini e quali sono le differenze.
La biodegradabilità
Il termine biodegradabile indica la proprietà delle sostanze organiche di essere attaccate dai microrganismi per essere frammentate in sostanze più piccole per essere poi riassorbite in natura.
Si tratta di un processo biologico naturale che, a partire da una sostanza organica, la converte in sostanze inorganiche semplici quali acqua e anidride carbonica. È un processo naturale che fa parte del ciclo del carbonio: i vegetali utilizzano l’energia solare per sottrarre anidride carbonica all’atmosfera e produrre, tramite la fotosintesi, le sostanze necessarie alla loro crescita. I microrganismi presenti nell’ambiente si nutrono invece di piante e animali morti, biodegradandoli e rilasciando acqua e anidride carbonica che può così ritornare in atmosfera chiudendo il ciclo. Il processo di biodegradazione è influenzato sia dalla natura chimica delle sostanze da degradare che dall’ambiente in cui il processo avviene. Ambienti caldi e umidi sono infatti più favorevoli alla biodegradazione rispetto ad ambienti più freddi e secchi, in cui tale processo richiederà più tempo. La biodegradazione è quindi parte naturale del ciclo della vita e costituisce solo uno dei requisiti per la compostabilità.
La compostabilità
È la normativa europea UNI EN 13432 intitolata “Requisiti per imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione” a stabilire quali sono i requisiti di un materiale per poter essere definito compostabile.
Sono essenzialmente 4 le caratteristiche che un materiale deve rispettare per poter essere definito compostabile:
- il primo fondamentale requisito è che la sostanza deve biodegradarsi al 90% entro 6 mesi dal suo conferimento
- tale sostanza si deve inoltre disintegrare in modo veloce, in modo compatibile con i tempi del trattamento, in modo che a distanza di 3 mesi non siano più visibili frammenti all’interno del compost
- non deve presentare metalli pesanti
- non devono essere presenti altre sostanze potenzialmente pericolose o che possano andare a compromettere la qualità del compost.
Ognuno di questi requisiti è indispensabile perché un materiale possa essere qualificato come compostabile ma nessuno di essi, se preso singolarmente, è sufficiente a tale qualifica.
Come riconoscere un materiale compostabile?
Non sempre è facile distinguere dove differenziare un determinato materiale o imballaggio quando lo dobbiamo gettare, bisogna fare bene attenzione alle indicazioni e alle etichette riportate sulle varie confezioni. Nello specifico, i tre organismi che certificano la compostabilità di un particolare rifiuto sono Consorzio Italiano dei compostatori, TÜV Austria e DIN CERTCO; se troviamo il loro logo su un prodotto significa che lo possiamo conferire nella raccolta dei rifiuti organici con gli scarti da cucina.
Il risultato: il compost
Il frutto della decomposizione di questi materiali è il compost, un terriccio ricco di sostanze organiche che si utilizza come fertilizzante. L’utilizzo di questo compost come fertilizzante in agricoltura va a chiudere il ciclo, riportando alla terra quelle sostanze di cui era stata impoverita.
In base al tempo di maturazione, si possono distinguere tre tipologie di compost:
- fino al terzo mese di maturazione il compost viene definito fresco in quanto è ancora in fase di trasformazione e non è ancora idoneo ad essere utilizzato come fertilizzante
- tra i 5 e i 6 mesi di maturazione si parla di compost pronto, ha già raggiunto una maggior stabilità e può essere adoperato come fertilizzante in orti e giardini
- tra i 6 e i 12 mesi il compost assume un aspetto scuro e asciutto e diventa ideale per essere utilizzato per piante in vaso o per rinfoltire l’erba dei prati. In questa fase parliamo di compost maturo.
L’utilizzo di materiali compostabili presenta quindi diversi vantaggi, quali quello di ridurre il volume dei rifiuti conferiti nelle discariche ma anche quello di restituire ai suoli sostanze preziose, rendendoli così più fertili e aumentandone la capacità di trattenere l’acqua e, di conseguenza, la resistenza a lunghi periodi di siccità e alla tendenza alla desertificazione. La produzione del compost dai rifiuti organici è un altro bell’esempio di economia circolare.