Ristretto, macchiato, corretto, in tazza di vetro, sono solo alcuni dei tanti modi in cui si può assaporare il caffè, forse la bevanda più amata in Italia. Ma come riconoscere un buon caffè, a prescindere dal gusto soggettivo?
Intanto iniziamo col dire che il gusto è una cosa molto soggettiva, ma ci sono comunque dei parametri oggettivi che possono essere valutati per comprendere se stiamo bevendo un caffè di buona qualità piuttosto che uno scadente.
1. La tostatura
La tostatura è la prima cosa per valutare un caffè: un buon caffè non deve essere né troppo chiaro né troppo scuro.
2. La crema
La crema può essere differente in base alla miscela utilizzata ma, per dire che stiamo bevendo un buon caffè, la crema deve presentare una trama omogenea e sottile, deve essere consistente e persistente, dello spessore di qualche millimetro.
3. Il profumo
Anche l’intensità del profumo è un fattore rilevante nel valutare la qualità di un caffè: le note olfattive devono essere varie e complesse che si armonizzano bene tra loro.
4. Il gusto
Al palato ci deve essere un buon equilibrio tra l’amaro dovuto alla tostatura e le note di acido e dolce. A seconda della miscela poi il gusto potrà differire, se prevale l’Arabica l’acidità è più spiccata mentre una prevalenza di Robusta dona un gusto più simile al cacao.
5. Il retrogusto
Dopo aver bevuto un caffè, il sapore che persiste in bocca deve essere gradevole, rotondo e pieno, con punte di una acidità fruttata.
Le varietà
Esistono moltissime varietà di caffè ma quelle commercializzate sono sostanzialmente 2: la Robusta e Arabica. Esistono poi altre due varietà meno diffuse: l’Excelsa e il Liberica.
Vediamo insieme le caratteristiche:
Robusta
Il caffè Robusta cresce bene a quote basse e predilige temperature più miti. I chicchi sono piuttosto arrotondati con un solco abbastanza diritto. Ha un gusto ricco e deciso, intenso e corposo, quasi legnoso. In tazza si presenta cremoso con una schiuma scura e spessa e un gusto che richiama il cioccolato. Ha un contenuto in caffeina che può variare dal 1,7% al 3,5% e rappresenta circa il 28% della produzione mondiale.
Arabica
La pianta dell’Arabica preferisce altitudini maggiori e climi più freschi rispetto alla Robusta per crescere. I suoi chicchi sono di formata allungata ovale. L’Arabica ha un sapore più delicato , dolce e aromatico con una nota di acido. Con i chicchi dell’Arabica si ottiene un caffè dal color nocciola con riflessi rossicci e una crema compatta e talvolta striata. Presenta un contenuto in caffeina minore rispetto alla Robusta , che può andare dallo 0,8% allo 1,5% e rappresenta il 70% della produzione mondiale di caffè.
Excelsa
Ha una pianta simile per dimensioni alla Robusta che ben si adatta ai climi e ai terreni asciutti e che ha una buona resistenza alle malattie. I grani, se vengono fatti invecchiare, donano al caffè un gusto profumato e gradevole che può ricordare al varietà arabica.
Ciò che lo rende poco commercializzabile è il suo rendimento estremamente variabile.
Liberica
Varietà originaria della Liberia (da cui prende il nome) e della Costa d’Avorio ed è una pianta molto alta e rigogliosa che necessità di acqua in abbondanza ma è molto resistente ai parassiti. I suoi chicchi sono molto grossi, fino al doppio rispetto a quelli di un Arabica.
Questo caffè ha un gusto particolare, forte e molto aromatico, che richiama il gusto delle nocciole con note di cioccolato fondente e contiene una percentuale di caffeina inferiore alle più diffuse varietà Arabica e Robusta.
È una varietà piuttosto rara e per questo anche abbastanza costosa.
Scegli il tuo caffè in base alla tostatura
- Tostatura chiara: usata per ottenere caffè morbidi e acidi, con note floreali e fruttate. Utilizzata in generale per i caffè mono-origine preparati con metodi di estrazione a filtro.
- Tostatura media: è una cottura adatta a caffè più rotondi, equilibrati e corposi, dotati di un ampio spettro aromatico.
- Tostatura scura: per un espresso corposo ed amaro, con spiccata acidità e una ridotta quantità di caffeina.
Capsule o cialde?
Affianco alla classica Moka e all’Espresso, hanno ormai sempre più preso piede il caffè in cialda e quello in capsule. Pratiche, pulite e veloci, consentono a chiunque di preparare un caffè come quello del bar. Ma c’è differenza tra cialda e capsula?
Le capsule
Nelle capsule in genere il caffè è contenuto in un involucro di forma conica o cilindrica, in plastica o in alluminio. Le capsule vengono normalmente prodotte in atmosfera protettiva ma in alcuni casi possono essere autoprotette per via della loro forma o dal modo in cui sono fatte.
Possono essere in confezione monodose oppure la confezione può contenere più capsule. Normalmente contengono dai 5 ai 7 grammi di polvere di caffè per ogni capsula.
L’aspetto negativo delle capsule è che trattandosi di bi-materiale (alluminio o plastica + polvere di caffè) non possono essere smaltite nei rifiuti organici ma vanno buttate nell’indifferenziato anche se il mercato sta spingendo sempre più per soluzioni alternative, quali plastica biodegradabile, per renderle più sostenibili.
Le cialde
Le cialde sono monodosi da 7 grammi di caffè dosato e pressato tra due di carta. Sono sempre confezionate in atmosfera protettiva e chiuse ermeticamente. Le cialde più utilizzate sono prodotte secondo lo standard E.S.E. (Easy Serving Espresso), uno standard nato nei primi anni ’70 del 1900 per consentire di ottenere un buon caffè espresso anche al di fuori dell’Italia, dove i baristi non avevano la stessa conoscenza di quelli italiani e bere un buon espresso era molto difficile. Nel corso degli anni questo standard è stato sempre più migliorato.
Il rivestimento in carta fa sì che le cialde si possano smaltire nei rifiuti organici, rendendole più ecologiche rispetto alle capsule.
Lo sapevi che… ?
Esistono diverse ipotesi sulla scoperta del caffè. Una delle più accreditate ne attribuisce la scoperta ad un pastore etiope dell’altipiano di Koffa (da cui appunto deriverebbe il nome caffè). Pare che un giorno le sue capre abbiano brucato le foglie e le bacche della pianta del caffè e poi, invece di dormire, abbiano trascorso l’intera nottata a pascolare con una inedita energia. Il pastore attribuì tutta questa energia alle bacche mangiate dalle capre e, una volta individuate, provò ad abbrustolirle per poi farne una infusione, realizzando di fatto il primo caffè della storia.
Il caffè si diffuse in Europa nel 1.700 ma rimase fino al 1.800 una bevanda elitaria, molto amata soprattutto da artisti e letterati. Si diffusero così molti locali, che presero il nome di “Caffè” proprio dalla bevanda che si degustava, che divennero luoghi di ritrovo per uomini colti, filosofi e letterati dove assaporare un buon caffè disquisendo di temi colti e di politica. Solo nel 1.800 il caffè divenne quella bevanda popolare che è tutt’ora.
Nel ventesimo secolo arriva la svolta tecnologica che rivoluziona il modo di assaporare il caffè.
Nel 1901 infatti, l’ingegnere italiano Luigi Bezzera ha l’intuizione di sfruttare il vapore per filtrare la polvere di caffè, brevettando così la prima macchina per espresso funzionante a vapore. Furono poi due baristi milanesi, Achille Gaggia e Antonio Cremonese, che migliorarono questa invenzione pensando di utilizzare l’alta pressione al posto del vapore e fu così che nacque l’attuale sistema per espresso, in grado di produrre la bella cremina che tutti associamo al caffè del bar.
Altra rivoluzione arrivò nel 1933, sempre per opera di un italiano, l’imprenditore Alfonso Bialetti, che pensò di sfruttare il principio di risalita dell’acqua in ebollizione per filtrare il caffè in polvere, dando vita all’iconica Moka tutt’ora utilizzata e da molti ancora amata rispetto all’espresso.
Il caffè decaffeinato può essere ottenuto tramite diversi sistemi.
Un primo metodo prevede di mettere i chicchi di caffè in ammollo per farli gonfiare e poi immergerli in una sostanza che è in grado di estrarre la caffeina.
Un altro metodo è quello di mettere i chicchi a bagno in acqua calda: in questo modo però vengono estratte sia la caffeina che altre sostanze organolettiche. Per ovviare al problema, il tutto viene poi filtrato con carboni attivi, che sono in grado trattenere la caffeina facendo passare invece le altre sostanze.
Esiste poi un metodo un po’ più complesso, che sfrutta il passaggio di stato da liquido a gassoso dell’anidride carbonica: in questo passaggio si forma biossido di carbonio, che è un ottimo solvente per la caffeina.
Tutti i metodi utilizzati per estrarre artificialmente decaffeinare il caffè lasciano comunque un 1%-2% di caffeina residua.
In natura esiste però una varietà di pianta di caffè, la Coffea Charrieriana, originaria del Camerun, che produce bacche naturalmente prive di caffeina. Questa specie è stata scoperta nel 1983 e nel 2009 è stata inserita nella ‘Top 10 New Species 2009’, prestigioso conferimento assegnato dall’Università dell’Arizona alle più importanti scoperte naturali dell’anno precedente. Questa specie potrebbe rappresentare il futuro del decaffeinato.